LA TORRE DI CETARA

La Torre vicereale è da ritenersi il riferimento connotativo del paesaggio della gola nella quale si sviluppa il centro storico di Cetara. Essa ha una struttura molto articolata, frutto di una integrazione tra una torre cilindrica angioina ed una a doppia altezza vicereale. Le due costruzioni sovrapposte, però, conservano una loro leggibile autonomia.

È costituita da un corpo tronco-piramidale fino alla piazza, da cui si diparte un corpo più piccolo che forma la scudatura a monte, mentre lungo il perimetro di entrambi vi è un coronamento in controscarpa. Esaminando in particolare le due componenti, per quanto riguarda la torre angioina il progetto iniziale di un sistema difensivo costiero fu concepito e sviluppato in epoca medievale durante la dominazione angioina. L’evento che provocò questa decisione fu non solo il pericolo di incursioni corsare, ma lo scoppio della guerra del Vespro (1282-1302) nella Sicilia da cui partivano vascelli carichi di armati che minacciavano i centri della Costiera Amalfitana, mettendo in pericolo gli scambi commerciali.

Per questo gli Angiò ordinarono la costruzione di opere di fortificazione per segnalazioni semaforiche. La torre in seguito venne usata anche come prigione, a seguito della congiura dei Baroni del 1460: Antonello De Petruciis da Aversa, segretario di Francesco Coppola, conte di Sarno, ed Antonello S. Severino, principe di Salerno, complottarono contro il re Ferdinando I D’Aragona. In tale torre vi fu rinchiuso Don Federico, figlio del re il quale si era rifiutato di accordarsi con i congiurati.

 

La torre si trova a ridosso della scogliera ed ha una pianta ovoidale, leggermente allungata verso monte. La parte superiore, situata sopra quella a scarpata, con all’interno un unico ambiente fruibile, è collegata con un cunicolo con il primo livello della torre vicereale.

Dopo la sconfitta della flotta cristiana alle Gerbe, presso Tunisi, e prima della battaglia di Lepanto (1571), che segnò il tramonto definitivo delle aspirazioni ottomane di predominio sul Mediterraneo, il litorale era infestato da pirati turchi che tentavano continuamente sbarchi a sorpresa per razziare la costa e i suoi centri abitati. Il vicerè Don Pedro De Toledo fu indotto ad ordinare la costruzione di torri costiere, cilindriche e quadrate, sulla scia dell’arte fortificatoria di Leonardo e Francesco di Giorgio Martini. L’ordine per la costruzione generale, attuato per conto e sotto la direzione dell’autorità centrale, fu emanato nel 1563 dal vicerè Don Parafran di Alcala.

La torre vicereale ha una pianta quadrata, a doppia altezza, con quattro troniere sul fronte mare e su quello posteriore; ai lati si trovano tre troniere in corrispondenza della piazza bassa e due sulla piazza alta. La prima piazza è posta ad una notevole altezza rispetto al livello del mare, +32 metri e a +12 metri dalla piazza della torre angioina. La seconda piazza è a +3.55 metri rispetto alla precedente. Un torrino laterale, il batti ponte, consentiva l’accesso probabilmente con un ponte levatoio, alla torre vicereale.

Nella relazione dell’ingegnere Jacopo Lentier, artefice del complesso delle torri sulla costa di Amalfi, riportata nella provvisione dell’Università di Cava, si legge che «a Cetara si trovano torri che hanno bisogno di rimedio a ciò che si possono guardare e difendere». Fu pertanto previsto di realizzare una nuova torre a ridosso di quella angioina. I lavori furono affidati nel 1567 al maestro di muro Camillo Casaburi di Cava, su mandato delle Regia Corte, insieme ai maestri e imprenditori di Cava, Raffaele De Marinis e Onofrio De Abbate.

Il 21 Aprile dello stesso anno, il commissario speciale della costruzione delle due torri, Giovanni Alfonso Bisbol, ordinava a seguito dell’avvistamento di vascelli corsari, al sindaco e agli eletti dell’Univesità di Cava di fornire «di legname, fascine e palle l’artiglieria della torre di Cetara, in modo da poter dare segnale di fuoco e di fumo e avvertire gli abitanti».

La tipologia a base quadrata fu scelta sull’esempio fornito dalle torri romane su spiaggia, escludendo altre impostazioni planimetriche, sia poligonali sia cilindriche presenti nelle torri già esistenti. Tale forma offriva inoltre vantaggi nella dislocazione dei cannoni su ogni lato e la possibilità di ospitare numerose persone, non essendo costruite esclusivamente per difesa.

Lo schema a piramide tronca su base quadrata, con caditoie ricavate nel coronamento liscio senza archeggiature e beccatelli in rilievo, derivò dall’uso adibito all’avvistamento e prima difesa senza la possibilità di resistere ad un lungo assedio.

 

Come tutte le torri vicereali, anche quella di Cetara era priva di orientamenti esterni, se si esclude la primitiva merlatura terminale, ora scomparsa come le feritoie situate alla sommità, uniche aperture originarie nella massiccia muratura.

Nel 1646 la torre era dotata di cinque smerigli di ferro, due masci e cinque pezzi di bronzo (tre falconetti e due mezzi sagri), più di  cento palle di ferro o piombo e otto rotoli di polvere.

Nel Settecento viene presidiata dal battaglione degli Invalidi per reprimere il contrabbando. Nel piano delle torri del Regno di Napoli, redatto nel 1776, è inserita tra le torri alle dipendenze dell’Università di Cava, menzionata come torre di Cetara, e custodita dagli Invalidi. In un secondo censimento della stessa epoca, è chiamata «torre d’artiglieria detta Citara distante un miglio dall’antecedente (di Erchie) tiene tre pezzi di bronzo a terra tre petrieri di ferro, due mortaletti di bronzo, è guarnita d'Invalidi, si considerano i ripari per trentacinque ducati. Le spese sono attribuite all’Università di Cava che tiene cinque torri».

 

Dopo essere stata compresa nell’elenco delle torri non considerate più come fortificazioni con decreto del re Vittorio Emanuele II, essa poté essere venduta. Il Comune di Cetara, infatti, nel 1864 per appianare il pesante passivo di bilancio, accumulato nel primo trentennio di autonomia, decise di sdemanializzarla e ad alienarla a privati.

I privati che l’acquistarono la ristrutturarono, adattandola ad uso abitativo e per questo motivo furono sopraelevati due piani, che modificarono l’aspetto della torre. Il cambio, infatti, della destinazione d’uso dell’edificio, con successivi interventi edilizi, ha alterato in maniera consistente la struttura, inserendo corpi aggiunti laterali e superiori e modificando, inoltre, i percorsi di collegamento verticale e incrementando le aperture esterne.

La trasformazione completa si è avuta con la sopraelevazione di due piani costruiti probabilmente dopo il 1878. L’unico documento che attesta questa data è “una domanda del Municipio di Cetara” dello stesso anno. Si attesta l’esistenza di un casotto costruito abusivamente sul fronte est della torre, edificato precedentemente e alla destra di quello attuale adibito alla vigilanza dei dazi governativi e comunali.

L’allora proprietario della fabbrica, l’ingegnere Giovanni Tagliaferri, chiese il 2 maggio 1878, di poter ricostruire detto casotto con lo stesso materiale di quello demolito appoggiandosi sul muro appartenente alla strada consortile, aprendovi una porta a doppio battente per usufruire dei locali fronte strada come magazzini.

A seguito del ritrovamento di tale documento è stato possibile ipotizzare la costruzione dei piani ottocenteschi ad una data posteriore al 1878.

Altre radicali trasformazioni hanno inoltre interessato la parte interna con l’apertura di numerosi vani e la sostituzione degli antichi solai. In quegli anni la torre divenne il tradizionale alloggio dei vari parroci che si succedettero nel tempo sino alla fine degli anni ’60.

Sul finire della seconda guerra mondiale vi soggiornò per un breve periodo lo scrittore Achille Campanile. Nel 1965 la torre fu venduta ad una famiglia di antiquari napoletani, che ne conservarono l’integrità. Finalmente nel 1998, dopo essere stata sottoposta a vincolo storico-monumentale dal Ministero dei Beni Culturali, è stata acquisita dal Comune di Cetara e restituita alla collettività.

 

Attualmente la struttura costituita dal complesso della originaria torre angioina e della successiva torre vicereale con i rifacimenti ottocenteschi si articola su sei livelli.

La parte basamentale ha all’interno un unico vano di forma ellittica. Sono presenti tre finestre strombate, disposte ad intervalli regolari, forse aperte in epoca successiva. Questo vano si collega alla torre vicereale attraverso un corridoio servito da una rampa di sei gradini da cui si accede in un ambiente di forma rettangolare che costituisce il livello più basso.

Tale locale è collegato al vano sovrastante attraverso una botola provvista di scala di legno. Il locale posto al secondo livello si presenta ancora nelle vesti originarie, anche se manomesso nelle aperture e nelle scale. Esso a sud si apre sul terrazzo di copertura della torre angioina; ad ovest su un balcone che lo collega al corpo staccato della torre con ponte levatoio; a nord, sulla parte cieca di roccia vi è una scala di accesso ai piani superiori. Il terzo livello si presenta molto più articolato con ambienti vari e numerosi; una parte di recente costruzione è posta a livello della statale. L’accesso alla strada è garantito da una grande apertura chiusa da un portone. Il quarto livello è attualmente servito da una scala, con l’accesso anche dall’esterno mediante un portoncino di legno; esso è suddiviso secondo gli schemi e gli aspetti di una civile abitazione. Il quinto livello presenta anch’esso la classica tipologia di un’unità abitativa, di dimensioni sensibilmente più modeste, mentre il sesto ed ultimo livello, si presenta, come sempre come ambienti destinati a civile abitazione, ma copre solo il 40% della superficie complessiva ed è costituito da due vani a nord-est con copertura piana e da altri accessori coperti a tetto. Su tutto il 60% residuo è stata realizzata un’ampia terrazza.

Nel 2002 sono iniziati i lavori di restauro e consolidamento e finalmente dal marzo del 2011, la torre è tornata ad essere il faro e il cuore pulsante della comunità locale.

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